Genitorialità
Qual è il ruolo che ci si assume, quando si diventa genitore? Quali sono gli impegni ai quali si deve far fronte? Quali sono le aspettative e le emozioni proprie? Una riflessione necessaria in un'epoca di “incertezze” causata da grandi cambiamenti.
Durante tutta l’infanzia e l’adolescenza vediamo crescere in noi la capacità di stringere relazioni con gli altri, imparando un po' alla volta a cedere qualcosa di nostro, in cambio della disponibilità degli altri a stabilire quelle stesse relazioni. Anche gli altri, infatti, cedono qualcosa di proprio al fine di stabilire quelle relazioni con noi.
E’ un processo che riguarda sia i maschi che le femmine e che inizia addirittura con lo svezzamento, quando “cediamo” l’iniziale vantaggio del farci allattare senza dare niente in cambio. Poi “cediamo” il diritto di giocare e basta. E via via, da un “cedimento” all’altro, fino all’età adulta quando siamo disponibili a cedere a un partner ampi spazi della libertà di agire a nostro esclusivo piacimento: stabiliamo un rapporto di coppia... in cambio di un rapporto di coppia! E’ una relazione onerosa per entrambi, ma (auspicabilmente) conveniente.
Diventare genitore è l'ultimo passo di quel processo di crescita.
Esso è caratterizzato dal fatto che “cediamo” molto, ma non pretendiamo nulla in cambio di quella relazione. Il rapporto genitore-figlio, infatti, è tale che la felicità che ne viene è appagante anche senza contropartite.
Ma questa “gratuità” della relazione non può durare per sempre. 
Infatti, la relazione tra un genitore ed un figlio molto piccolo è tanto sbilanciata sul piano delle diverse capacità operative e relazionali, che è addirittura assurdo chiedere una reciprocità. Tutto cambia, invece, quando il figlio cresce!
Dal figlio “grande” (o anche solo grandicello) ci si aspetta che concretizzi –con il suo comportamento e con la sua condotta di vita- quella felicità che da piccolo ha prodotto anche solo venendo al mondo.
Peraltro, c’è da tenere presente che –quando si è stato un buon genitore (padre o madre non fa differenza!)- si è usata Autorevolezza, vale a dire un ascendente nei confronti del figlio che ha prodotto la trasmissione a lui di capacità di vario genere, che in lui si sono fatte autonome: che sono diventate sue! E si è anche faticato molto, per trasmettergliele 
 ma a volte ci si dimentica di averlo fatto.
Per questo, spesso succede che si chieda al figlio che sia come il proprio genitore, anziché essere se stesso; libero di utilizzare come vuole lui le capacità fornitegli con tanta fatica ed autorevolezza. A volte, quando il figlio fa scelte non condivise dai genitori, si giunge addirittura a sentirsi “traditi”, anche se si sa bene che è giusto che ciascuno tracci per sé la strada che egli preferisce.
Questa difficoltà ad accogliere le scelte dei figli è “cosa vecchia”, ma è diventata molto più grave nel nostro tempo, quando –per via dei mutamenti socio-economici e dei nuovi stili di comportamento indotti anche da nuove tecnologie e modalità comunicative- è effettivamente difficile (e forse anche non conveniente!) “seguire le orme dei padri”.
Si rende necessario un vero e proprio ripensamento sullo stile educativo familiare che non può più essere ritenuto né esclusivo, né prevalente per importanza nei confronti non solo delle altre Agenzie Educative –quali Scuola e Contesto Sociale in genere- ma anche in relazione agli Strumenti di Informazione che –piaccia o no- “invadono” lo spazio della Autorevolezza educativa genitoriale.
E’ necessario un confronto con la realtà presente che –evitando sia atteggiamenti rinunciatari, sia “cecità o chiusure” destinate a produrre guasti gravi- ricollochi le figure genitoriali in uno spazio di efficacia educativa e di appoggio emotivo nei confronti dei figli.
E che consenta a gli uni e agli altri di essere felici nella loro relazione.

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