
Se litigio è una prova di potere
La (infantile) lesa maestà.
Il conflitto -come dinamica di scontro- è ordinariamente presente e ineluttabile nelle relazioni; può diventare un’occasione per migliorarle e svilupparle se è considerato non come problema insormontabile né come atto distruttivo e fine a se stesso. Questo è il primo passo per una buona gestione ma per proseguire c’è necessità di un atto di volontà, la volontà di fare pace e -in nome di questa!- la disposizione a capire le ragioni dell’altro e procedere verso la negoziazione degli obiettivi.
Per una buona risoluzione -in una sintesi non esaustiva- 3 sono le fasi richieste.
1. Accettazione del conflitto e ribaltamento della sua concezione: da problema a occasione di confronto.
2. Comprensione e legittimazione delle emozioni e dei sentimenti che lo hanno mosso.
3. Disponibilità a cercare le mediazioni necessarie nel rispetto dell’interlocutore
Se -però!- litigare è un gioco di potere e tutti la vogliono vinta, se ognuno vuole prevalere e distruggere l’altro allora non c’è soluzione ma solo rovina e perdita. Perciò, quando si arriva alla lite, è importante chiarire con onestà cosa si vuole ottenere e se si è pronti a smetterla.
Accorgersi di un presupposto infantile di lesa maestà, del puntiglio di voler avere l'ultima parola, per ripicca o per farla pagare all'altro è un'operazione dovuta, senza la quale ogni tentativo porta all'avvitamento nel conflitto e all'insuccesso di ogni sforzo di cambiamento.
Naturalmente non è una passeggiata di piacere, spesso è un percorso difficile e faticoso, specialmente nell'avvicinarsi a ferite emotive ancora aperte, ma come sempre accade nella vita, solo affrontandole si può curarle e, se possibile, trasformarle.