25/08/2017

Dipendenza vs attaccamento

Una parola da ridiscutere

Se dico "dipendenza nella coppia" quale immagine vi viene in mente?


Ho fatto questa domanda -per gioco- tra familiari, amici e conoscenti  e la maggioranza, indistintamente tra giovani e meno giovani, ha risposto: “Lucchetti, catene, corde, legàmi, regole, appiccicaticcio!”
La parola “dipendenza” evoca controllo, subordinazione, potere, invischiamento e si porta dietro il destino della confusione e dell'equivoco; inoltre -e per opposto!- conduce all’idea della indipendenza in termini di individualismo, impulsività, anarchia o anche paura della relazione.
 
E allora, con le persone che si spaventano e si preoccupano di essere dipendenti nella coppia, capita di dover ridiscutere sulla parola stessa. La questione non riguarda l’antitesi tra dipendenza e indipendenza ma la stessa natura della relazione, dello stile di relazione che può assumere forme di graduale continuità tra attaccamento sano e patologico, tra sicurezza e insicurezza, tra fiducia o sfiducia nell’altro. E di conseguenza sicurezza e fiducia in se stessi.
 
Da "de-pendère, essere appeso,  attaccato”, l’etimo di "dipendenza" rimanda alla revisione operata dallo psicologo e psichiatra John Bowlby che ha teorizzato sullo stile di attaccamento.

Lo stile di interdipendenza emozionale con le figure parentali, vissuto durante la primissima infanzia, si riverbera nello stile di relazione adulta con le figure significative. E quello amoroso è il terreno su cui si gioca la dinamica relazionale in modo profondo e coinvolgente.
 


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